Colpiti e affondati! Non ce lo aspettavamo. Noi simili alle locuste! Nei comportamenti poi!
E non è una bufala. Ma uno studio, serio, svolto dal Max Planck Institut, pubblicato dal New Journal of Physics e ripreso brevemente in Italia da Federico Geremei in un articolo sul Venerdì di Repubblica.
“Mettendo insieme una serie di ricerche etologiche condotte negli ultimi decenni le analogie sono sorprendenti: le locuste come molti di noi sui social network, hanno una cerchia ristretta di amici (i compagni più prossimi di volo), collegata a quella più ampia dei conoscenti (l’intero sciame); è alla prima che ci si rivolge per le tante piccole decisioni di ogni giorno e per molte di quelle più importanti”. Lo studio rivela che “attraverso meccanismi di formazione delle opinioni, seguiamo quelli di cui ci fidiamo. Anche quando – secondo uno degli autori dello studio Gerd Zschaler – vanno nella direzione opposta a quella che prenderemmo se decidessimo da soli”.
Una ricerca che riapre il dibattito sul nostro modo di vivere i social network e di abitarli. In un saggio pubblicato all’interno del libro Facebook come (a cura di Renata Borgato, Ferrucci Cappelli e Mauro Ferraresi – Franco Angeli) la formatrice Samantha Gamberini si chiede se il libro delle facce può essere considerato un acceleratore di identità.
“La magia di questa parola, identità appunto, – sottolinea l’esperta – sta nel fatto che contestualmente rappresenta l’unicità dell’individuo o del gruppo in relazione però agli altri”. E racconta di come “per essere uguale agli altri si è iscritta su Facebook” ed ha iniziato a “giocherellare in rete”.
La Gamberini rivela come si arriva alla trappola. “Ci assale quello strano senso di disagio a non partecipare a un gruppo nel quale sono inseriti i nostri amici, anche se il gruppo nello specifico si dedica a osannare il pigiama, la carta da imballaggio, o parti inquietanti di credenze popolari. Alla fine anche se si tratta solo di un gioco, su Facebook si ha una possibilità veramente importante. Quella di mischiare parti di identità e di toccare con mano una delle più affascinanti affermazioni di Amartya Sen: la stessa persona può essere, senza la minima contraddizione, di cittadinanza americana, di origine caraibica, con ascendenze africane, cristiana, progressista, donna, vegetariana, maratoneta, storica, insegnante, romanziera, femminista, eterosessuale, sostenitrice dei diritti dei gay e delle lesbiche, amante del teatro, militante ambientalista, appassionata di tennis. Tutte queste identità insieme”.
Il nostro sistema relazionale è completamente mutato, l’annullamento di tempo e spazio in questa società reticolare e complessa, supera la dimensione tra virtuale e reale. Affermare che esista una realtà virtuale come se fosse altro, e l’individuo vivesse una dualità di relazioni, emozioni, pensieri, riporta ad una logica ormai superata.
Di fatto il virtuale incide sul reale, ne è parte, incide su di noi, sulla nostra identità modificando in modo profondo il nostro modo di vivere.
Nessun dualismo, piuttosto il tema che si apre riguarda il tipo di socialità che si sta connotando. I social networking nascono con l’obiettivo di dare vita a delle comunità dove simili si riconoscono e interagiscono, un agevolatore relazionale. In realtà il fenomeno al quale stiamo assistendo sembra però essere quello di un forte individualismo.
Entrare nei social network, aprire un profilo, è un atto di forte affermazione identitaria, dove l’io prevale, dove il racconto di sé come auto rappresentazione, quale affermazione della propria esistenza diventa fattore cruciale.
Il reale passa attraverso il virtuale, tanto che sembra affermarsi un modello relazionale che tende a ridurre la fisicità a favore della virtualità.
Basti pensare alle relazioni tra giovani, il dialogo verbale è quasi soppiantato dal linguaggio scritto sulle interfacce degli smartphone. Connessi al proprio profilo facebook o twitter, la chat diventa il luogo del dialogo, anche se seduti a 30 cm di distanza l’uno dall’altro.
Sembra quasi che vi sia una sorta di timore dello sguardo dell’altro e che il rapporto mediato dalla tecnologia sia vissuto come un esercizio di libertà individuale, dove non filtrati e sottratti alla vista ci si senta più “se stessi”.
Questo è evidente esclude in maniera preminente il mondo degli adulti che vivono ancora queste relazioni come altro rispetto alla realtà.
Ma vi è anche un altro aspetto che riguarda l’esercizio del potere. L’aggiornamento del profilo corrisponde non solo ad un affermazione di sé ma racchiude una forma di esercizio di potere, nella misura in cui dando un segno di me entro nella vita degli altri che sono connessi a me. Sembra che si stia perdendo la nostra capacità di libero arbitrio, come responsabilità delle scelte individuali. C’è una dicotomia tra appiattimento sulle scelte di gruppo e l’autorappresentazione di sé, come esercizio di potere che non sempre corrisponde con la nostra identità reale.
Insomma, noi …in sciame…come le locuste? Questo è il dilemma!!!