Dolore, rabbia, indignazione abbiamo provato vedendo quella maledetta foto. Eppure quanto abbiamo provato a livello emozionale non può farci dimenticare che oltre quello scatto, prima e dopo, sono successi e accadono ogni ora episodi altrettanto gravi in quella che può essere definita la vera tragedia del nostro giovane secolo.
Molti quotidiani, oggi, non soltanto nel nostro Paese hanno scelto di pubblicare in prima pagina, o nelle pagine interne, la foto del corpo di Aylan Kurdi, il bambino siriano di tre anni trovato morto su una spiaggia della Turchia. Quello scatto così terribile è stato pubblicato da El Mundo (Spagna), Le Soir (Belgio), Irish Examiner (Irlanda), Publico (Portogallo), The Independent (Gran Bretagna). In Italia l'immagine di questo piccolino riverso sulla sabbia è stata pubblicata in prima pagina dal Manifesto, dal Mattino e dalla Stampa.
Il quotidiano torinese ha voluto anche motivare il perché della scelta con un editoriale del Direttore Mario Calabresi. Ancora una volta il confine tra diritto di cronaca e diritti dei minori è molto labile. Negli ultimi anni ne ho parlato in vari incontri di formazione dell'Ordine dei Giornalisti. Abbiamo ricordato la Carta di Treviso e due passaggi importanti: articolo 7: "nel caso di minori malati, feriti, svantaggiati o in difficoltà occorre porre particolare attenzione e sensibilità nella diffusione delle immagini e delle vicende al fine di evitare che, in nome di un sentimento pietoso, si arrivi ad un sensazionalismo che finisce per divenire sfruttamento della persona". Ed ancora l'articolo 11: "
tutti i giornalisti sono tenuti all'osservanza di tali regole per non incorrere nelle sanzioni previste dalla legge istitutiva dell'Ordine".
Siamo sicuri che serviva questa ulteriore prova di forza per ricordare la tragedia del mare, la condizione dei migranti, l'incapacità di dare risposte concrete su una terribile situazione che sta vivendo il mondo intero?
Quella immagine pubblicata dei giornali o la semplice del foto del bambino per tutto il giorno è diventata oggetto di post sui social network. Quel bambino morto è stato usato per ricordarci che esiste una nuova emergenza a cui nessuno sa dare risposte.
So di andare controcorrente: ma era proprio necessario mostrarlo così? Davvero tutti abbiamo riflettuto vedendola e cambieremo atteggiamento? A questa foto sui social si alternava quella di bimbi,figli di migranti, che alla stazione di Budapest guardavano in tv sorridenti un cartone animato di Tom e Jerry.
Ricordo una mia esperienza professionale: tanti anni fa andai in Iraq a girare un reportage per Videomusic. Nell’ospedale dei bambini di Bagdad un bambino morì davanti alla nostra telecamera. Si fermò il suo respiro: mancavano le medicine, gli aiuti umanitari, persino le aspirine. Perché i paesi più importanti del mondo avevano deciso di combattere la tirannia di Saddam con l’embargo. Avrei potuto mostrare in tv quella morte atroce. Anche al rallentatore. Avrei aumentato gli ascolti. Ma andai nella stanza del Direttore durante il montaggio e raccontai l’episodio. Le dissi che per un momento avevo pensato che quel bambino avrebbe potuto essere mio figlio. E non avrei voluto vederlo così. Non mi fece nemmeno parlare e mi rispose che non serviva trasmettere l’immagine, ma era giusto raccontare la cronaca dell’episodio. Oggi resto convinto che se la Carta di Treviso esiste c’è una ragione. E che forse quella foto si poteva lasciare nel cassetto.