Una delle novità dopo l’aggiornamento recente di www.francescopira.it è quella di dare spazio alle opinioni di amici o colleghi che scrivono o pubblicano scritti o interventi interessanti. Mi permetto di segnalarvi questo di un intellettuale siciliano, Gaetano Cellura, autore di vari saggi sulla letteratura italiana.
Buona lettura (f.p.)
Una pallottola gli aveva sfiorato la testa; un’altra l’aveva colpito alla nuca ma senza sfondare la parete ossea. Fa più danni la terza, che lo colpisce alla schiena e arriva al polmone. Sono le 11,30 del 14 luglio del 1948. Palmiro Togliatti è appena uscito da Montecitorio quando Antonio Pallante, un giovane fascista siciliano, gli spara tre colpi di rivoltella. Un quarto va a vuoto mentre il leader scivola sul selciato e Nilde Iotti, che lo accompagna, “si lancia a coprirlo” come scrive Bocca nella biografia. ##L’intervento chirurgico, eseguito al Policlinico, dura due ore. Quando Togliatti si sveglia, nel pomeriggio, il primo sorriso è per il figlio Aldo arrivato in aereo da Torino con la madre Rita Montagnana. Aldo Togliatti aveva ventitré anni. Sente le prime parole del padre che raccomanda prudenza agli altri dirigenti del partito presenti nella stanza d’ospedale. Il momento è delicato: e per quanto grave sia stato l’attentato, non bisogna cedere alle provocazioni. Stava per essere ucciso, era vivo per miracolo, ma il suo disegno politico per l’Italia non ammetteva né guerra civile né rivolte. Non so quanto tempo dopo Togliatti rivide il figlio. Né quanto ne sia trascorso da quello che ha preceduto l’incontro in ospedale. Togliatti si era separato dalla Montagnana, che aveva sposato nel 1924, e viveva ora con la Iotti, la sua nuova compagna. Madre e figlio vivevano a Torino, dove Aldo frequentava il Politecnico. Palmiro non l’aveva visto nascere quel suo unico figlio. Era in carcere e poté abbracciarlo dopo, grazie all’amnistia per i venticinque anni di regno di Vittorio Emanuele III. Aldino Togliatti, il figlio matto del leader comunista, è morto due o tre giorni fa all’età di 86 anni: ma solo ora ne viene data la notizia, quasi a non violare sino alla fine il rigoroso riserbo che ha circondato la sua vita infelice. Devo confessare che non sapevo che fosse ancora in vita. Alcuni mesi fa iniziai delle ricerche (che poi lasciai perdere) per scrivere una noterella su di lui e per sapere cosa ne fosse stato di un uomo su cui era calato il più assoluto silenzio dopo che nel 1950 ne fu certificata la schizofrenia. Mi chiedevo quale poteva esserne stata la causa scatenante. L’infanzia, l’adolescenza, la prima giovinezza trascorse nei collegi sovietici e, in piena solitudine, tra i corridoi e la hall dell’hotel Lux a Mosca? O il trauma della separazione dei genitori? Il padre lo affidò ai migliori specialisti italiani e sovietici prima di rassegnarsi a quello che sarebbe stato il vero dramma della sua vita. Aldino era intelligente, colto, sensibilissimo. Aveva letto una quantità enorme di libri. Ma aveva terrore degli altri: sfuggiva ogni forma di comunicazione: non riusciva a rompere i suoi interminabili silenzi. Un giorno lo trovarono a Civitavecchia. Aveva perso la memoria. Racconta Giorgio Bocca (mia unica fonte) che aveva chiesto insistentemente al marinaio di una nave olandese di “essere portato via”. Che ne è stato poi di questo ragazzo e giovane sfortunato? Togliatti morì nel 1964, forse non senza rimorso per la sorte del figlio; Rita Montagnana nel 1979. Per molto tempo non si parlò più di lui, nessuna notizia corse sul suo conto. Sparì. Forse, a un certo punto, per il Pci prima e per il Pds poi, diventò un problema che poteva creare curiosità e polemiche politiche. Ora si sa che per trent’anni è stato ricoverato nella clinica psichiatrica Villa Igea di Modena, “adottato” dall’allora federazione provinciale del Pci. Ma qualche cronista l’aveva già scoperto molti anni fa.