Licata – Sono passati 10 lunghi anni da quel tragico agosto 2004. La notizia del rapimento di Enzo Baldoni, il reporter ucciso barbaramente in Iraq.
Chi ha avuto il privilegio di conoscerlo e di apprezzare le sue doti umane e professionali non può dimenticare quelle ore di sofferenza e di dolore.
Oggi le immagini sulla rete della decapitazione di James Foley, il giornalista americano ucciso in Iraq dai miliziani dell'Isis, le stragi di uomini, donne e bambini non possono non ricordarci Enzo ed il suo sacrificio.
Sposato con Giusi Bonsignore, di origini licatesi, dopo il suo ennesimo viaggio nei paesi dove c’è la guerra e la fame, doveva fare qualche giorno di vacanza nell’abitazione d’infanzia della moglie. Ma il 21 agosto del 2004 fu rapito a Najaf. Ucciso pochi giorni dopo, si presume il 26 agosto, dall'Esercito islamico dell'Iraq. Oggi le ricostruzioni più attendibili parlano di un gruppo a prevalenza sunnita che, successivamente, avrebbe stretto alleanza con gli Stati Uniti, che lo avrebbe fatto fuori dopo averlo costretto a registrare un video in cui spiegava cosa gli era successo e tentava di rassicurare la famiglia.
In quei giorni del 2004 Licata fu invasa dalle troupe televisive e decine di inviati da tutte le parti del mondo rimasero per ora davanti la casa della moglie in Corso Roma 20, dove Giusi, che oggi dirige l’Agenzia pubblicitaria fondata dal marito a Milano, ha atteso con i figli la tragica notizia dell’uccisione.
Il “Caso Baldoni” fu un vero problema per la diplomazia italiana. Per anni furono negati i resti alla famiglia. La moglie e i figli non hanno avuto per lungo tempo una tomba su cui pregare e ricordarlo. Oggi è sepolto in Umbria sua terra natale.
Da Licata, dal Sud del Sud dell’Italia e dell’Europa, provammo a far partire richieste incessanti al Ministero degli Esteri per non far chiudere il caso. L’allora Ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, ci fece capire che dovevamo stare tranquilli perché tutti ci stavano lavorando.
Enzo forse sentiva che sarebbe morto lì. Ancora oggi le parole scritte sul suo Blogdhad ci confermano che lui non aveva paura della morte perché voleva raccontare quello che riusciva a vedere.
Ecco cosa scrive: “"Guardando il cielo stellato ho pensato che magari morirò anch'io in Mesopotamia, e che non me ne importa un baffo, tutto fa parte di un gigantesco divertente minestrone cosmico, e tanto vale affidarsi al vento, a questa brezza fresca da occidente e al tepore della Terra che mi riscalda il culo. L'indispensabile culo che, finora, mi ha sempre accompagnato".
Una piccola battaglia vinta fu quella dell’intitolazione di una strada. Anzi Licata ora ha vicino un nuovo ponte il Piazzale Enzo Baldoni. Non fu affatto facile. La burocrazia impone che non si possa intitolare una strada ad una persona scomparsa se non sono passati 10 anni dalla sua morte. Lo si può fare con una procedura speciale se questa persona è vittima di mafia o del terrorismo. A questo ci appellammo con l’amico Giuseppe La Rocca, allora responsabile del Centro Sturzo di Licata ed in tempi record, grazie ai consigli ed al supporto dell’ex sindaco e vice presidente della provincia, Giovambattista Platamone, riuscimmo a far istruire la pratica. Era stato proprio Platamone a fare formale richiesta all’allora sindaco Graci nella sua qualità di consigliere comunale.
E dopo qualche mese l’allora sindaco Angelo Graci, inaugurò il piazzale alla presenza della moglie e dei figli.
Impossibile dimenticare il suo sorriso, la sua forza, il suo modo di essere. Quando era a Licata in estate ci incontravamo spessissimo per il semplice fatto che mia madre abitava nello stesso portone dei suoceri. Una volta mi disse: “che esperienza ho fatto in Cambogia…!!!” Aveva anche li rischiato la vita. Sapeva che ne valeva la pena perché avrebbe fatto conoscere al mondo attraverso i suo articoli, sul Diario o sulla Stampa o sul Venerdì di Repubblica, cosa accadeva in terre lontane.
L’anno scorso il cuntastorie licatese, Mel Vizzi, capace di narrare in un cunto la travagliata vita di Rosa Balistreri ha scritto un cunto su Enzo Baldoni.
Enzo con la sua storia, la sua vita ed anche la sua morte, è un grande esempio per chi crede nella pace, nell’onestà, nella legalità, nella forza del giornalismo come arma per vincere la violenza. Anche lui che l’ha subita.
Ha scritto un’altra giornalista uccisa Anna Politkovskaja:"Il compito di un dottore è guarire i pazienti, il compito di un cantante è cantare. L'unico dovere di un giornalista è scrivere quello che vede”.
Questo ha fatto Enzo. Quando ha potuto. Oggi rileggendo quanto scriviamo di lui ci regalerebbe uno dei suoi splendidi sorrisi. In silenzio come lo sono stati la moglie Giusi ed i due figli Guido e Gabriella. Lontani dai riflettori. Come nei giorni del rapimento. Soffrendo in silenzio in quella casa di corso Roma a Licata.