Siamo sommersi giornalmente da centinaia e centinaia di notizie, la comunicazione è in costante evoluzione e questo cambiamento che coinvolge il mondo dell’informazione sempre più spesso si trova a dover fronteggiare fake news e misinformation. Agli italiani, addirittura all’82% degli italiani, secondo un rapporto Infosfera, è capitato di considerare vera una notizia letta su internet poi rivelatasi falsa e il 23% ha condiviso in rete contenuti per scoprire successivamente che erano infondati. Nell’immaginario collettivo i social sono più affidabili dei quotidiani, la causa è da ricercare nella sfiducia nelle istituzioni e in una ingiustificata fede nella disintermediazione della rete. In questo scenario che trovano terreno fertile e proliferano le fake news. Di questo e tanto altro ho letto nel libro “Giornalismi – La difficile convivenza con Fake News e Misiformation”, libreriauniversitaria editore, di Francesco Pira, docente di Comunicazione dell’Università di Messina, e autore dello stesso con Andrea Altinier, docente di Comunicazione pubblica e aziendale.
Professor Pira, qual è il ruolo dei giornali oggi?
“Ritengo sia indispensabile che i giornali riacquistino il loro ruolo di cani da guardia della democrazia, con un’opera costante di smentita delle fake news. In questa battaglia diventa fondamentale il fact checking, cioè il controllo delle fonti, un tempo rigorosa regola dei media tradizionali”.
C’è un modo immediato per farlo?
“Le testate giornalistiche dovrebbero costruire, a poco a poco, una propria comunità di lettori, individuando, attraverso network di professionisti, temi sensibili per l’opinione pubblica e puntando sulla qualità dei contenuti e sull’utilizzo di format innovativi da declinare con diversi strumenti: carta stampata, tv, radio e web”.
A cosa è dovuto l’effetto di questa alterata informazione?
“L’effetto si basa, fondamentalmente, sul fatto che in presenza di molte notizie il lettore, generalmente, non le confronta in maniera critica, ma sceglie o l’ultima in ordine di tempo o la più semplice o quella che l’ha colpito di più. Si tratta di un meccanismo inconsapevole che altera i nostri ricordi ed è legato a dei limiti nel funzionamento dei nostri processi cognitivi”.
L’egosurfing, invece, cosa è di preciso?
“È la tendenza a ricercare nelle notizie la conferma di un’opinione che il lettore ha già. E proprio la mancanza di difese immunitarie del sistema porta alla misinformation, la tendenza a diffondere inconsapevolmente bufale”.
Come possiamo difenderci?
“Sicuramente leggendo informazione di qualità, non fidandoci di chi ha interesse a indottrinarci, con una pratica utile nei regimi dittatoriali. Dobbiamo capire quello che leggiamo ed elaborarlo. Non abboccare e credere comunque per partito preso. Se lo facciamo chi ci vuole omologati e servili ha già vinto. Vince sul web l’emotivismo e non l’emozione; si parla alla pancia della gente, non al cuore o all’anima”.
Esiste un vaccino contro la misinformation?
“Certo! È Un virus dal quale occorre vaccinarsi con rapidità e reattività, utilizzando metodo, organizzazione, strumenti e misurazione dei risultati. Ad agire devono essere le testate giornalistiche che dovranno investire sull’autorevolezza per riconquistare la fiducia dei lettori”.
Quale fascia di età è più soggetta alla misinformation e perché?
“La misinformation non ha età perché può colpire chiunque. È il rischio di costruire cascate informative che inducono, chi le legge o le ascolta, a raccogliere verità e ritrasmetterle senza capire se siano vere o se si tratta di pseudoverità. Chi fa passare il messaggio costruisce delle false notizie per poi metterle a disposizione di alcuni, facendole passare come verità assolute. A mio avviso, è giusto combattere queste forme di arroganza. I social, in special modo, ci stanno facendo perdere sia il rispetto dell’altro e sia quella pedagogia istituzionale indispensabile in una società che vuole avere una convivenza civile forte”.