A quattordici anni ha pubblicato foto hard delle compagne. La Polizia Postale ha rimosso le pagine e acquisito i dati informatici per risalire all’autore. Lo ha scoperto e lo ha denunciato alla Procura dei Minori. Ma non è un argomento che affascina i grandi media. Eppure non tanto tempo fa Telefono Azzurro ed Eurispes avevano condotto una ricerca che di sicuro avrebbe dovuto preoccupare, non soltanto i genitori, ma anche tutte le Istituzioni. “Tra i nuovi rischi di Internet e dell’uso dei cellulari c’è il sexting l’invio di immagini e video a sfondo sessuale ad amici, fidanzati, adulti, persone conosciute e non; il 6,7% dei giovani italiani ha inviato sms o video a sfondo sessuale col proprio cellulare, mentre il 10,2% ne ha ricevuto almeno uno”.
L’indagine, realizzata nelle scuole italiane, ha coinvolto bambini e adolescenti dai 12 ai 18 anni. Ma dal 6 dicembre dell’anno scorso, quando i dati sono stati presentati alla stampa, non se parla. Se non per il nuovo caso di questo quattordicenne catanese, forse già archiviato nelle nostre memorie. Eppure poco più di un anno fa un altro caso in Friuli aveva fatto molto parlare del fenomeno. Perché a vendere il proprio corpo attraverso la rete era stata una ragazzina di quasi 13 anni per ricevere in cambio delle ricariche telefoniche… Ed anche in quel caso avevamo capito che non era un film o un racconto. Ma un fatto di cronaca, accaduto a Udine. Cosi come quello del fotografo in erba è un altro fatto di cronaca accaduto a Catania.
Secondo quanto hanno accertato Eurispes e Telefono Azzurro: “ l’esposizione alle immagini sessuali sembra essersi moltiplicata per i digitali nativi; su Internet e attraverso i cellulari con grande facilità si possono guardare, inviare e ricevere immagini a sfondo sessuale. Spesso i ragazzi ignorano i rischi legati alla visione, alla produzione e allo scambio di immagini sessuali, proprie o altrui. In alcuni casi l’invio e la pubblicazione on line sono strumento per atti di bullismo, legati alla volontà di ferire il protagonista delle immagini stesse. In molti casi, inoltre, i ragazzi non sono consapevoli di scambiare materiale pedopornografico, aumentando così il rischio di entrare in contatto con soggetti malintenzionati”. Dalle ricerche che ho coordinato negli ultimi anni emerge con grande chiarezza che l’età dell’uso da parte bambini e dei pre-adolescenti del telefonino si abbassa giorno dopo giorno. Questo vuol dire che devono aumentare i controlli da parte dei genitori! Basta? Forse no. Perché alla ragazzina ingorda di ricariche basta andare a casa di un’amica o in un luogo pubblico per realizzare delle foto da rivendere poi a chi vuole comprare o ancor peggio far commercio di queste immagini.
Così come il quattordicenne magari per gioco ha fotografato le compagne e poi ha pensato di renderle pubbliche. Che tristezza, che mancanza di rispetto verso se stessi. E non lo diciamo per falsi moralismi ma perché apprendendo queste notizie pensiamo subito a cosa può provare un genitore nel sapere di situazioni del genere. Mi è capitato di intervenire in convegni come relatore con uomini della Polizia Postale che hanno puntualmente spiegato i rischi che si corrono a fare questo tipo di bravate. Mi è capitato di spiegare che una delle prime cose che dobbiamo usare, anche quando ci avvaliamo delle nuove tecnologie, è il buonsenso. Oggi è impensabile privare qualunque bambino della possibilità di accedere alle nuove tecnologie. Tutti hanno un videogioco, un cellulare, un profilo su Facebook, il tutto magari autorizzato dai genitori, che non sempre hanno la possibilità o il tempo di vigilare. Ed ecco che accade il patatrac. Accadono fatti che vanno “oltre”. Si oltre ogni immaginazione, oltre ogni possibile ipotesi, oltre anche la cronaca. Perché anche i cronisti che si trovano a scrivere di questi eventi sono in difficoltà.. Immagini scattate con l’incoscienza della giovane età e messe a disposizione di altri minorenni o di maniaci che hanno voglia di comprare quello che è vietato. Dentro di noi vince la rabbia per episodi che ci devono far riflettere. Che ci devono, giorno dopo giorno, responsabilizzare sempre di più e non gridare “al lupo” soltanto quando la cronaca ci restituisce un fatto così vergognoso e mortificante. In questi ultimi mesi mi è capitato di incontrare tanti genitori e di parlare con loro dei rischi e della potenzialità della rete. Alcuni erano molto consapevoli. Altri invece completamente all’oscuro. Ed ecco allora che dopo questi fatti occorre lavorare, come in altri paesi d’Europa, per informare quanto più possibile i più piccoli ed i loro genitori, che esistono questi mezzi e che possono essere usati senza un minimo di buonsenso. Non si può fermare il progresso, la ricerca, la crescita sociale. No non è questo il tema. Dobbiamo invece renderci conto che esistono dei punti di non ritorno. E questo casi lo sono. Casi limite per riflettere su quello che stiamo facendo e su quali sono le nostre responsabilità. Ognuno per la sua parte. Ad iniziare dai figli, per proseguire con i genitori e per continuare con i rappresentanti delle istituzioni e delle cosiddette agenzie formative e sociali. E’ ora di agire. Non più di lamentarsi o di allarmarsi. Quello lo abbiamo già fatto. Non aspettiamo nuovi casi. Proviamo a lanciare subito un progetto di formazione-informazione su questo tema. Una campagna nelle scuole, tra i genitori. E’ necessario. Indispensabile.