Morire a 91 con la consapevolezza di aver lasciato il segno. Un uomo che appariva esile ma che esprimeva solidi valori in quella società che lui stesso aveva definito più volte liquida.
Ho conosciuto, nell’ottobre del 2011 a Roma, Zygmunt Bauman, sicuramente uno dei più grandi pensatori del ventesimo e ventunesimo secolo. Lo avevo ascoltato tantissime volte. Ho letto tutti i suoi libri, ho visto tutte le sue interviste televisive. E’ senza dubbio uno degli autori più citati nei miei testi insieme ai padri della sociologia.
E’ stato uno dei pochissimi fumatori con cui ho condiviso (fumo passivo) più sigarette nella mia vita considerato il tempo trascorso insieme. Certamente non sempre condividevo il suo pensiero ma trovavo ogni sua riflessione frutto di approfondimento. Ogni sua frase aveva un “link” di riferimento, e generava approfondimenti e nuove ricerche. Oggi ha raggiunto la sua adorata moglie: questo lo renderà felice. A noi che lo abbiamo studiato e stimato lascia un vuoto incolmabile. Conservo gelosamente un suo libro con dedica. Affronta il tema dell’identità come pochi altri hanno saputo farlo.
“Nel nostro mondo fluido impegnarsi per tutta la vita nei confronti di un’identità, o anche non per tutta la vita ma per un periodo di tempo molto lungo, è un’impresa rischiosa. Le identità sono vestiti da indossare e mostrare, non da mettere da parte e tenere al sicuro”.
E se questo accade nell’era dei social network, tutto si complica. Me lo aveva detto con grande convinzione durante l’International Communication Summit di Roma che avevo avuto l’onore di coordinare dove il professor Bauman tenne, una splendida Lezione Magistrale.
Il tema era quello delle rivoluzioni. Naturalmente partendo dal ruolo delle nuove tecnologie nei processi di mobilitazione attraverso il web. Per Bauman:“Facebook e i social media alterano il nostro modo di rapportarci con il mondo esterno. Rispecchiano il desiderio insito di emergere mostrandosi e offrono nuove forme comunitarie che vanno a sostituire le vecchie istituzioni ormai decadute. Ma quello che ne consegue è solo un mondo di surrogati che alimentano il bisogno tutto contemporaneo di schivare difficoltà e fastidi”.
Per Bauman :” Mark Zuchemberg ha creato Facebook intercettando due fondamentali bisogni presenti nella società contemporanea: il desiderio di mostrarsi e mostrandosi di diventare qualcuno e la necessità di ritrovare una sensazione di appartenenza. Facebook va incontro in particolar modo alle esigenze degli emarginati, di coloro che soffrono , di essere qualcuno e di sentirsi parte di comunità di persone con le quali si condividono passioni, idee e interessi. Da una mia ricerca viene fuori una sorta di duplice impatto di Facebook sulle nostre relazioni con gli altri: sembra che ci si senta più vicini alle persone dalle quali siamo lontani e che si sentano più lontane le persone che ci sono vicine. Facebook risulterebbe quindi essere un mezzo efficace per rimanere in contatto con persone che vivono lontano da noi, amici che si sono trasferiti in altri paesi, persone conosciute durante i viaggi, ma allo stesso tempo sembrerebbe allontanarci da quelle che abbiamo vicino”.
Quello che mi ha sempre colpito di Bauman è il suo pensiero universale. Cose da lui scritte anni fa che restano di grandissima attualità.
“Noi siamo oggi – ci ricorda Bauman – un secolo e mezzo più tardi, consumatori in una società di consumatori. La società del consumo è una società di mercato: noi tutti siamo nel mercato e sul mercato, simultaneamente consumatori e beni di consumo”.
Consumatori e consumati. Tutto quanto diceva sulla morte, sull’amore, sui giovani, sulle famiglie rimane un patrimonio inestimabile.
Persino il suo pensiero sulle elezioni americane aveva trovato un riferimento certo sul nuovo pericolo “l’accurato svisceramento dei principi della democrazia”.
Il giorno che lo conobbi di persona ed ebbi il privilegio di condividere un intenso momento culturale con lui mi sentii un privilegiato. L’orgoglio di aver parlato con chi sapeva leggere la società. Trovavo splendida la sua umiltà: rivelava un sapere infinito. Uno studioso che fino all’ultimo attimo di vita ha mantenuto inalterato la capacità di porsi domande e non si è mai tirato indietro quando era sollecitato a dare risposte. Lui che amava essere sincero: “non so fare previsioni sul futuro. E se qualche sociologo vi dice che sa farle non dovete credergli. Vi sta imbrogliando”.
Ci mancheranno tantissimo i suoi moniti, il suo stile, la sua tenacia, la sua abilità nel comunicare grandi verità con parole semplici. Ci mancheranno i suoi capelli bianchi spettinatissimi e i suoi occhi pieni di vita. Non ci mancheranno le sue sigarette accese troppo spesso. Quelle no!!!