Prima ha aiutato la figlia tredicenne a iscriversi a Facebook. Poi non l’ha presa bene che in poche ore la giovanissima ha collezionato 171 amici. Quindi ha scritto un editoriale su uno dei quotidiani più letti su internet, il News York Times, e ha confessato: “Ora mi sento come se avessi passato alla mia bambina una pipetta di vetro per fumare metamfetamine”. E’ un pentito Bill Keller e lo ha dimostrato firmando un editoriale in cui esprime tutte le sue perplessità sull’uso dei social network. Il corsivo, apprezzato da alcuni e criticato da altri, s’intitolava “The Twitter Trap” (la trappola di Twitter). Individui, famiglie, giornalisti e società, tutto è più liquido con le nuove tecnologie? Neppure uno dei più grandi pensatori al mondo, il sociologo Zygmunt Bauman, ospite a Padova della rassegna Segnavie ha espresso parole di grande apprezzamento per le nuove tecnologie che, a suo parere, servono per combattere la solitudine ma poi, alla fine, possono farci sentire ancora più soli.
Bauman, professore emerito di Sociologia nelle Università di Leeds e Varsavia, a cui dobbiamo la definizione di “modernità liquida”, è voluto tornare sui suoi temi preferiti: l’identità, la paura, la società sempre più liquida e la profonda differenza tra comunità e network. L’abbiamo ascoltato per ore, prendendo appunti, mentre cercavamo di ricordare quanto avevamo già letto dal vecchio sociologo e filosofo che sorridendo ha avvertito la platea: “non so fare previsioni sul futuro. E se qualche sociologo vi dice che sa farle non dovete credergli. Vi sta imbrogliando”. Certo tornando ai social network ed in particolare a Facebook, Bauman, non è stato tenero. Certo non quasi apocalittico, come era stato nel salotto di Fabio Fazio, ma non ottimista. “Penso – ha detto – che passerà questa sorta di moda”. Ma è vero che anche dei social network siamo consumatori. In maniera ossessiva. E lo sono soprattutto i più piccoli. Tanto che il Daily Mail ha denunciato il fenomeno “the junior social network”, nel senso che il 43% dei dodicenni britannici ha un profilo su Facebook. Forse genitori e figli pagano quella che il Direttore del NYT , Keller, definisce “un’idolatria digitale con una parte di noi stessi…che paghiamo”. Bauman ha rilevato, come già aveva fatto in televisione che il problema non è il prodotto Facebook che può aver generato una trasformazione sociale, ma il fatto che esso si allinea con una trasformazione che c’è stata. Vi è una sorta di esibizionismo planetario. Quello che fa andare in giro ad esempio tantissimi giovani con le macchine fotografiche digitali per immortalare momenti di vita quotidiana e riversarli poi su Facebook in tempo reale. Così come i papà e le mamme che fotografano quasi all’inverosimile i figli e li piazzano sulla rete. E poi c’è il grande tema della paura. La paura di rimanere soli e di sentirsi vivi ed in contatto con il mondo attraverso il social network. Zygmunt Bauman ha risollevato il tema delle amicizie virtuali che nascono e si cancellano con un click. Cosa che nella vita non possiamo assolutamente fare…anche se a volte vorremmo avere il potere di cancellare alcune persone in cui ci siamo imbattuti… Il dubbio anche dopo aver ascoltato Bauman o aver letto Keller rimane: con i social network combattiamo la solitudine o la aumentiamo? Miglioriamo la nostra qualità della vita o la peggioriamo? C’è chi per esempio, come Michele Serra, pone un dubbio: internet ed in particolare i social network rappresentano un rischio anche per i giornalisti o anche per i semplici lettori. “La rete –scrive Serra – è diventata una fonte inesauribile di notizie, voci, illazioni. I fondamentalisti di internet sostengono che la rete è in grado di auto emendarsi delle notizie false attraverso un capillare controllo orizzontale: sarebbe, insomma, autoimmunizzata. Molti giornalisti delle nuove generazioni passano gran parte della giornata in rete alla ricerca di notizie. Questo sottrae spazio mentale e tempo tecnico alla vecchia verifica sul campo, quella che si fa andando a controllare di persona, vedendo le facce, sentendo gli odori, ficcando le mani nella realtà. In questo senso internet è, per i giornalisti, al tempo stesso miniera e prigione”. Forse è il caso di ripensare l’uso delle nuove tecnologie. L’ultimo allarme, sempre del New York Times, disegna una famiglia dove il figlio videogioca, la sorella consulta Love calculator sul touchscreen dell’iPhone, il padre fa giochi on line e la madre chatta su Facebook con le amiche. Sono tutti sotto lo stesso tetto ma non si parlano. Bauman ci ha voluto soltanto avvertire : “Questi rapporti ad avvio istantaneo, consumo rapido e smaltimento su richiesta hanno i loro effetti collaterali. Lo spauracchio di finire nella discarica è sempre in agguato. D’altronde la velocità di consumo e il sistema di smaltimento rifiuti sono opzioni a disposizione di entrambi i partner. Potremmo finire col ritrovarci in una condizione simile a quelle descritta da Oliver James, avvelenati da un costante sentimento di mancanza degli altri nella vita, con sensazioni di vuoto e solitudine non dissimili al lutto. Potremmo stare sempre con la paura di venir lasciati da amanti e amici”.