Sono passati 25 anni dalla strage di via D'Amelio. Venticinque lunghi anni in cui ognuno di noi conserva il ricordo terribile di quei momenti, impresso nella nostra memoria. Ieri la Rai ha annunciato per domani sera una docu-fiction su RaiUno e dirette su Rainews 24 degli eventi dedicati al magistrato ucciso dalla mafia e speciali sui telegiornali. Ieri mattina è stata presentata la docu-fiction Paolo Borsellino – Adesso tocca a me di Francesco Micicchè (in onda su Raiuno domani alle 21,30) incentrata sui 57 giorni più difficili, quelli trascorsi tra la strage di Capaci e quel pomeriggio assolato di Palermo in cui un'autobomba è esplosa tra le strade deserte uccidendo il magistrato i cinque uomini della sua scorta, Claudio Traina, Agostino Catalano, Walter Cosina, Emanuela Loi e Vincenzo Li Muli. Il giudice Paolo Borsellino era andato in Via D’Amelio a Palermo a prendere la sua mamma per accompagnarla dal medico. Alle 16,58 una fortissima esplosione uccide persone, abbatte case, fa saltare in aria auto.
L’obiettivo:uccidere uno dei simboli della lotta alla mafia. Più volte ho ricordato, anche durante interventi in convegni o conferenze, sia in Sicilia che in altre parti d’Italia che ho avuto il privilegio di intervistare il giudice Paolo Borsellino per un quotidiano regionale agli inizi degli anni ‘90. Dalla Procura di Marsala stava per tornare a Palermo. Oggi, come spesso mi è capitato da quando non c’è più e sento parlare di lui, risento la sua voce. Quel tono pacato con cui riusciva a pronunciare piccole e grandi verità.
Fui diretto quella volta. Gli chiesi se aveva paura di tornare a Palermo. La sua risposta fu onesta e sincera, come lo è stata la sua straordinaria vita. Mi disse di si. Che la paura era un sentimento umano.” E' normale che esista la paura, in ogni uomo, l'importante è che sia accompagnata dal coraggio. Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, altrimenti diventa un ostacolo che impedisce di andare avanti”.
E’ un episodio che mi ha segnato perché ci è capitato tante volte di avere paura ma è difficile immaginare che un uomo come Paolo Borsellino, nonostante la paura continuasse la sua battaglia contro il male. Un’intervista tra quelle che non dimenticherò mai nella mia esistenza. Incancellabile. Piena di vita, anche se annunciava la morte.
Le sue parole non possono e non devono essere dimenticate: “Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d'accordo”.
La paura forse per Paolo Borsellino era anche la quasi certezza che l’avrebbero eliminato: “Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri".
Vivere e lottare sapendo che il destino era segnato. Venticinque anni dopo ancora ci sono misteri che non sono risolti, legati alla morte di Paolo Borsellino e che mai si risolveranno.
C’è un’altra intervista che mi porto dentro. Quella fatta al giudice Antonino Caponnetto Capo del Pool Antimafia. Mi piacevano tantissimo i messaggi che era capace di lanciare ai giovani: “Ragazzi godetevi la vita, innamoratevi, siate felici ma diventate partigiani di questa nuova resistenza, la resistenza dei valori, la resistenza degli ideali. Non abbiate mai paura di pensare, di denunciare e di agire da uomini liberi e consapevoli”.
Ma sulla tragica uccisione del giudice Borsellino aveva fatto dichiarazioni molto precise. Cercato risposte che non sono arrivate: “Ancora oggi aspetto di sapere chi fosse il funzionario responsabile della sicurezza di Paolo, se si sia proceduto disciplinarmente nei suoi confronti e con quali conseguenze”.
Il presidente del Senato, Pietro Grasso, uno dei protagonisti della presentazione della docu-fiction ci ha ricordato che : "è l'esempio di Falcone e Borsellino che spinge a continuare combattere per un paese che può essere dilaniato e deluso. Dobbiamo continuare a lottare per farlo diventare migliore. E vedrete che anche la mafia avrà una fine". Ed ancora:"è importante continuare a cercare la verità, lo dobbiamo alle vittime, lo dobbiamo al paese".
Mi piacerebbe oggi, con la maturità e l’esperienza acquisita, incontrare ancora Paolo Borsellino, parlare con lui e chiedergli un giudizio sulla nostra Sicilia. Mi piacerebbe riportare un suo pensiero su una terra dove ogni giorno sbarcano disperati. Una terra che non ha superato il complesso di essere Sud del Sud. Una terra che alterna la voglia di riscattarsi e di costruire, al servilismo più sfrenato e alla capacità di demolire.
Forse risponderebbe sorridendo: “la Sicilia un giorno sarà bellissima”. E detto da lui non stenteremmo a crederci.