Non appena avvertiamo il primo dolore evitiamo di chiamare il medico di famiglia o andare in ospedale o alla Guardia Medica. Basta scrivere un post sul proprio profilo Facebook per chiedere consigli su cosa fare. Ma mentre attendiamo che qualcuno on line ci risponda è utile consultare il motore di ricerca per eccellenza che qualcosa per noi troverà. Basta digitare il nostro malessere e Google ci restituisce subito sintomi, cura, possibili medicine. Fotografare parti del corpo e mandarle in giro su whatsapp per trovare casi simili da analizzare. I dati parlano chiaro: ci fidiamo più di Google o Facebook che del nostro medico.
Ma possiamo anche googlare le nostre malattie dopo il controllo medico. Andiamo dal dottore in ospedale o in ambulatorio e ci dice che abbiamo una malattia dal nome incomprensibile. Ma noi diffidenti e padroni del web andiamo a cercare e facciamo a nostra volta una diagnosi decidendo, sentito Google o qualche praticone su Facebook, la cura migliore. Tempo fa una studiosa di comunicazione sanitaria, Federica De Vizia, in un libro individuò varie tipologie di pazienti: il paziente dipendente, che affida ogni decisione al medico; il paziente negante che tenta di minimizzare o negare la malattia; il paziente criticante, di buon livello culturale e critica ogni indicazione medica; il paziente ansioso, emotivo, le evidenziazioni di sintomi poco significativi creano paure inconsulte; paziente cosciente, soggetto sostanzialmente a forte personalità in grado controllare la propria emotività. Adesso c’è il paziente googlante.