Auschwitz (Polonia) – Ho visto in tutta la mia vita centinaia di immagini su Auschwitz. Ho pianto davanti al grande schermo anche quando Roberto Benigni ha provato a farci sorridere di una realtà così cruda. Ho letto libri, articoli e storie di chi è stato eliminato dal Terzo Reich: ebrei, testimoni di Geova, omosessuali tedeschi, oppositori politici. Gli elementi indesiderati dal regime nazista e dal partito NSDAP (Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori) di Hitler. Ma per capire cosa può essere lo sterminio, il dolore, la violenza, il razzismo, l’odio bisogna visitare quello che è diventato un grande Museo e Luogo della Memoria creato nel 1947. Venti ettari del campo di concentramento di Auschwitz i cento settantuno ettari di Auschwitz II Birkenau.
La visita dura tutto il giorno. Si parla di milioni di persone che arrivano da tutto il mondo. Poche dalla Germania, ci avvisa subito la guida polacca, che ha perso i nonni e piange mentre ci racconta quello che stiamo vedendo. Il Governo polacco è il proprietario di questo Museo della Memoria. Incassa i soldi dei tanti biglietti. Ha dato in gestione anche i bagni. Paghi ogni volta che devi fare pipì. Mi ha colpito questa cosa. Così come nell’era digitale mi hanno infastidito i selfie nelle camere a gas o le foto distesi sulle rotaie dove passavano i treni carichi di deportati. Ci sono ancora i blocchi originali del campo, le baracche e le torrette di controllo. E poi stanze piene di foto e di oggetti dei deportati, ritrovati dopo la liberazione del campo. Entriamo in una stanza dove ci sono due tonnellate di capelli femminili tagliati alle vittime del nazismo. Usati anche per fare tappeti, ci precisano. Ed ancora i terreni sui erano state gettate le ceneri umane, resti delle camere a gas dei crematori, i posti in cui i medici delle SS eseguivano le selezioni, le strade attraverso cui i prigionieri venivano portati alle camere a gas, i posti in cui le famiglie ebree aspettavano di morire, i luoghi delle esecuzioni. I tragitti si fanno in silenzio. Incroci occhi lucidi e volti tristi. Ma soprattutto tutti sono consapevoli del fatto che tutta questa infernale macchina criminale era stata pensata, costruita e collaudata con razionalità. C’era la convinzione di eliminare fisicamente chi si doveva considerare inferiore. C’era la dottrina nazista della razza, che proclamava la disuguaglianza biologica e il diritto dei popoli germanici ad essere considerati migliori e quindi chiamati ad eliminare i popoli peggiori. Dentro questi due campi cammini per ore. La sensazione è terribile: senti un buco allo stomaco, vedi immagini di essere umani che sono morti senza sapere perché. Nello stesso momento pensi che devi raccontare quello che hai visto e lottare ogni giorno perché nessuna forma di violenza o razzismo possa essere concepita e assimilata. Ma al tempo stesso vuoi dimenticare immagini che per forza ti rimangono impresse. Cose che nella vita non avresti mai pensato di vedere. Ad esempio il campo delle fucilazioni. I pali collocati perfettamente per legare persone indesiderate ed ucciderle. E poi entri nelle camere a gas. Ti indicano i buchi nel tetto da dove usciva il gas. Ti conducono lungo il percorso dove poi i cadaveri venivano infilati nei forni. C’è anche una piccola stanzetta dove un giudice del Terzo Reich faceva un finto processo molto veloce per condannare a morte. E poi le righe di quelle divise tutte uguali che indossavano i cadaveri ambulanti. Luoghi di fortissimo impatto emotivo. Da visitare, da vedere, per comprendere, per capire. Chi scrive ha visto anche Le Foibe, ha sentito i racconti dei pochi che si sono salvati dalla violenza comunista dei titini. Già fascisti e comunisti accomunati da un odio verso l’altro che non è più concepibile, sopportabile. Per questo il Giorno della Memoria è importante per studiare, capire. Andare in Polonia ad Auschwitz dove i nazisti si sono esibiti nel peggiore dei loro stermini è necessario. E se ti viene di andare in bagno, ma anche per vomitare devi pagare.
Pubblicato sul quotidiano La Sicilia in occasione della Giornata della Memoria il 27 gennaio 2018 pagina 13