Non sono passati tanti giorni dalla visita di Papa Francesco a Lampedusa eppure questo viaggio sembra scolpito nella storia. La sua raccomandazione, quasi paterna, ma indelebile finita su tutti i taccuini dei cronisti e degli inviati di tutto il mondo, pronunciata al termine della visita : “proseguire in questo atteggiamento tanto umano quanto cristiano” non lascia spazi di manovra. C’è poco da parlare e molto da fare. Le luci riaccese dal Pontefice che porta lo stesso nome del Santo Poverello su Lampedusa non si sono spente e non si spegneranno facilmente. Lo ha capito di sicuro il sindaco Nicolini che sa come la scia di quanto detto può rilanciare il territorio che lei governa e che non è più l’isola dei sogni con il mare più blu ma un luogo simbolo dei nuovi processi di globalizzazione prima e di glocalizzazione dopo.
Papa Francesco non ha lesinato energie nel trasmettere chiari ed inequivocabili messaggi anche attraverso il social network : “preghiamo per avere un cuore che abbracci gli immigrati. Dio ci giudicherà in base a come abbiamo trattato i più bisognosi" ha twittato durante la mattinata della sua visita a Lampedusa dall'account @Pontifex_it.
Un segno dei tempi. I social network non per lanciare invettive ma per trasmettere valori e contenuti. Lampedusa e la provincia di Agrigento tutta ha fatto la sua parte. E ha fatto anche bella figura per accogliere un Papa Grande Comunicatore come Giovanni Paolo II.
Ma passato l’entusiasmo e l’emozione per una visita speciale ed inattesa rimane il simbolo di un evento, ribadiamo, destinato a rimanere una pagina di storia e di storie.
Papa Francesco è arrivato a Lampedusa per far capire che quanto accade lì non è qualcosa che riguarda gli agrigentini o i lampedusani. No riguarda tutti noi cittadini del mondo. E su questo i media devono fare la loro parte su un rapporto a lungo studiato ma molto controverso quello tra media e migrazione.
Migrazione che significa integrazione, che significa accogliere e non inveire, salvaguardando i principi cristiani e la storia di un’isola come Lampedusa, nell’isola Sicilia da sempre invasa.
Il tema dunque è quello di promuovere l’integrazione come processo di condivisione, che deve passare attraverso comunicazione e ascolto che conducano verso un nuovo modello relazionale e alla creazione di una nuova identità, non più basata solo sull’appartenenza ad un gruppo predefinito, ma costruita grazie al contributo di valori e culture esterni alla nostra storia. Questo è l’appello che Papa Francesco ha fatto partire da Lampedusa e che noi qualche giorno dopo la sua visita non possiamo permetterci di dimenticare.
Spesso sentiamo parlare di globalizzazione, che come dice uno dei più grandi pensatori dei nostri tempi Zygmunt Bauman, ha dato vita a questa società liquida nella quale i punti di riferimento naturali sono perduti. Assistiamo allo svilupparsi di una società fortemente individualista e, l’esplosione stessa di nuovi modelli relazionali come quelli che si stanno creando all’interno dei social network. E l’arrivo del Sommo Pontefice a Lampedusa seguito dai media tradizionali ci ha fatto fare molte considerazioni. La prima è che le relazioni che nascono in un ambiente apparentemente senza confini come quelle dei social network e tendono a realizzarsi tra simili, che contributo possono fornire alla costruzione di una relazione con individui che giungono nel nostro paese da immigrati e spesso da clandestini? Che arrivano proprio a Lampedusa o a Licata in barconi ormai da anni?
Gli studi sociologici più recenti evidenziano come il nuovo modello sociale si possa costruire partendo dal contributo individuale. Lo sgretolamento di riferimenti ideologici, la debolezza della proposta politica fanno ricadere su ciascuno di noi la responsabilità sociale di farci nodi e motori del rinnovamento attraverso la costruzione di nuovi modelli relazionali.
In una società intrinsecamente mediatizzata il contributo del mondo dell’informazione diventa un tassello imprescindibile per la comprensione della realtà nella quale il sistema di relazioni deve collocarsi. Per questo l’appello ai media tradizionali a tenere accesi i riflettori sui temi ribaditi da Papa Francesco.
Il mondo dell’informazione esercita esso stesso un potere che può venire messo in discussione, verificato e controllato da ognuno di noi attraverso i social network. E l’evento Lampedusano è una fortissima testimonianza.
Le nuove tecnologie non hanno di per sé modificato il modo di fare informazione sul fenomeno dell’immigrazione, così come non sono in quanto tali esse stesse fattore di cambiamento sociale. Lo diventano nella misura in cui ognuno di noi riesca ad assumere un ruolo attivo, espande il proprio universo relazionale attivando un processo di comunicazione che crei consapevolezza e ascolto, generando nuovi comportamenti che possano originare una cultura partecipata.
Ma questa rappresenta una visione prospettica, la realtà mostra ancora troppe luci ed ombre. Individualismo e sensazionalismo prevalgono su condivisione e ascolto. Ed anche a Lampedusa purtroppo questo si è avvertito.
Le urla del razzismo e del rifiuto sono la colonna sonora del nostro quotidiano. Il fenomeno non è governato, lavoriamo sull’emergenza e non sulla progettazione. Viviamo all’insegna della paura dell’altro e non dell’accettazione.
Se non comprendiamo la necessità del cambiamento la società in rete costituirà isole invece di uno spazio comune. E se le parole del Papa dei poveri e degli ultimi, italo-argentino, sbarcato a Lampedusa carico di speranza quelle di un’altra grande donna che ha dedicato la vita a chi ha bisogno ci scuotono. Diceva Madre Teresa di Calcutta: "ho scoperto un paradosso: se ami finché ti fa male, poi non esiste più dolore ma solo più amore..."
Ecco l’emozione che ci rimane dentro dopo la Santa Messa di Papa Francesco a Lampedusa. Più amore e meno dolore.