Papa Ciccio ha scelto la Sicilia, una terra dove i silenzi a volte comunicano più delle parole, per ricordare che non bisogna per fare una buona predica farla durare più di 9 minuti. E una messa più di 40. Il Pontefice sa perfettamente che nell’era della comunicazione veloce non serve predicare tanto, ma serve predicare bene. Stare in mezzo alla gente. Sentire i bisogni e far crescere le comunità.
In Sicilia chiamare Ciccio chi si chiama Francesco è segno di benevolenza, di vicinanza, di affetto immediato. Certo non è bello vedersi storpiare il nome, lo scrivo per esperienza personale, e così Francesco diventa Franco, Francuzzo, Ciccio, Cicciuzzo ecc..ecc..
Anche il Papa storyteller ha dovuto cedere a questa tradizione e così dopo il suo viaggio lampo a Piazza Armerina e Palermo dove la folla lo ha acclamato, applaudito e osannato per tutti non è Papa Francesco ma Papa Ciccio.
Un modo per sentirlo più vicino, per farlo diventare un po’ siciliano e sicuramente un po’ terrone. E del resto lui che sa stare sempre dalla parte dei più deboli non ha esitato neppure un attimo ad abbracciare fratel Biagio Conte, il missionario laico, noto per come si spende ogni giorno per la “Missione di Speranza e Carità” da lui fondata. E’ un ultimo tra gli ultimi. La foto dell’abbraccio tra questi due portatori di pace è diventata virale sul web. In Sicilia è stata condivisa tantissime volte, non soltanto su Facebook ma anche su Instagram. Il simbolo di un incontro forte tra la Chiesa e chi quotidianamente cerca di affrontare la drammaticità di una terra davvero difficile.
Ma cosa rimane di questo viaggio? Quali emozioni, quali sensazioni, quale messaggio? A mente fredda e lontani dai resoconti e dalle dirette del momento tutto sembra molto chiaro. Il Papa comunicatore e storyteller ha chiamato in causa i mafiosi, come aveva fatto a Lampedusa Giovanni Paolo II. Messaggi simili ma indirizzati ai criminali in maniera diversa.
“Non si può credere in Dio ed essere mafiosi. Chi è mafioso non vive da cristiano, perché bestemmia con la vita il nome di Dio-amore”. Lo ha detto proprio dove la mafia ha ucciso un sacerdote che è diventato immortale nel giorno del suo compleanno, Padre Pino Puglisi. La mafia non aveva accettato la sua missione più grande: far vivere ai figli dei criminali una vita normale. Spiegare ai più piccoli la differenza tra il bene ed il male. E quando c’è chi indica in Sicilia quale è il lato giusto arriva immediata la sentenza e la condanna. Una esecuzione terribile, così come è terribile il dolore lasciato in quella Palermo che ha visto scorrere tanto sangue.
Ma rimane anche il monito ai suoi parroci, che non devono eccedere. Papa Ciccio ha scelto la Sicilia, una terra dove i silenzi a volte comunicano più delle parole, per ricordare che non bisogna per fare una buona predica farla durare più di 9 minuti. E una messa più di 40. Il Pontefice sa perfettamente che nell’era della comunicazione veloce non serve predicare tanto, ma serve predicare bene. Stare in mezzo alla gente. Sentire i bisogni e far crescere le comunità. Come fanno tanti preti in Sicilia che ogni giorno affrontano situazioni al limite. La Chiesa capace di denunciare fatti terribili. Che ha pagato con la morte di Padre Puglisi, oggi Beato.
E anche sui social Papa Ciccio è stato protagonista, suo malgrado di immagini virali.
C’è la foto del Sindaco di Palermo che dice al Papa, ma non è una cosa seria: ”A vitti che bella pulita Palermo? -Ha visto che Palermo è molto pulita?” E il Pontefice ribatte: ”Ti pare ca unnu sacciu ca ppena minni vaiu è arrieri china i munnizza? – Ti sembra che non so che appena me ne vado è di nuovo piena d’immondizia? Un modo social per rivendicare una condizione che poi ormai è della Sicilia. Troppa immondizia per le strade.
E non è giusto. Non è civile. Papa Ciccio ha fatto l’elenco dei motivi perché la Sicilia piange. Lo ha fatto regalando sorrisi. Per questo è unico.
“Il potere è fare le cose per gli altri”. Questa frase scritta nella piccola sacrestia di un prete cristiano caldeo a Bagdad è quella che mi ha sempre accompagnato nelle mie esperienze umane e professionali. Amo leggere, scrivere, ma soprattutto quando posso narrare. Mi piace, come sosteneva Enzo Biagi, raccontare storie di persone comuni. Scrivo da quando avevo 14 anni. Fin da giovane ho coltivato la passione del giornalismo. Oggi insegno, nell’ambito della sociologia, comunicazione istituzionale e teorie e tecniche del linguaggio giornalistico all’Università di Messina. I miei territori di ricerca comunicazione e giornalismo con focus costanti sul rapporto tra adolescenti e nuove tecnologie, la comunicazione politica, sociale e pubblica. Sono un siciliano che ama il “lato giusto” della Sicilia. Vivo con il sogno prima o poi di trasferirmi negli Stati Uniti.