Negli Stati Uniti, loro sono sempre un passetto avanti, lo chiamano Chief happiness officer. In Italia possiamo anche chiamarlo Direttore della Felicità. Sta arrivando in molte aziende nell’ambito di progetti di comunicazione e benessere organizzativo. Una nuova figura professionale che serve per non far scappare i migliori e tenerli al loro posto. Soprattutto i giovani, i Millennials, che sono lontani dal racconto del posto fisso del film di Checco Zalone. Anche se assunti a tempo indeterminato scappano, anche all’estero, se fiutano oltre che il miglior guadagno anche una carriera più veloce. Gli americani la felicità l’hanno sempre desiderata e sognata talmente tanto da scriverla anche sulla Costituzione. Noi con tutte le riforme che abbiamo fatto ci siamo ben guardati. Non possiamo neanche sognarla neppure in campagna elettorale. Infatti nessuno ce l’ha promessa. E allora ecco che nelle aziende arriva questo nuovo professionista, nell’ufficio risorse umane. Il suo compito è interpretare i bisogni, regalare serenità per far toccare con mano la felicità. Magari creando servizi aggiuntivi: un calciobalilla, cibo biologico, spazi verdi, più luce negli ambienti lavorativi, consulenza psicologica. Ora il punto è, gli esperti già s’interrogano, quando arriverà il Direttore della Felicità negli enti pubblici. Ci pensate, un professionista preparato a tutto, che deve affrontare il quotidiano lavoro dei dipendenti pubblici, sempre presi di mira, ma che tutti pensano felici perché hanno lo stipendio sicuro. Rischia di diventare infelice anche lui. Assolutamente si. O dite di no?