Morire a 31 anni e a 21 anni. Così. Due famiglie distrutte che apprendono la tragedia quasi in diretta. Mentre gli inquirenti stanno ricostruendo i fatti, ascoltando le testimonianze, sui giornali, nelle radio e nelle televisioni, ma soprattutto sui social network, inizia il rito del racconto dell’ennesimo fatto di sangue, avvenuto dopo poche ore da altri, inquietanti allo stesso modo e che strappano alla vita altri giovani. Quanto è accaduto a Roccalumera, a pochi chilometri da Messina, riapre la questione su quanto la narrazione di questi fatti, con particolari doviziosi e riscontri macabri non possa poi incoraggiare nuove follie e quindi altre vittime.
Nel caso specifico la foto di una pistola sul profilo social di Andrea Tringali, dello stesso tipo di quella usata per compiere il gesto, che a 31 anni avrebbe ucciso perché non voleva chiudere la sua storia d’amore, mentre le indagini sono in corso, apre un dibattito.
Si creano “gruppi” di innocentisti e colpevolisti che si scatenano come fossero bande rivali.
Mentre quei due corpi sono lì e loro genitori li piangono. Poi i due funerali e altre foto sui social, altre notizie nei tg e sui quotidiani. Altre cronache.
Quanto si parlerà ancora di questo omicidio-suicidio? Una donna uccisa per presunto amore con dei colpi di pistola. Orribile! Né io, né nessun altro! Questo è il principio. Barbarie consumate nell’era in cui abbiamo potenti mezzi di comunicazione, in cui tutti siamo connessi a qualunque ora in qualunque giorno. Eppure vince l’incomunicabilità che poi diventa violenza. L’incapacità di ascolto che si trasforma in rito tribale.
E il chiedersi se quanto raccontato dai media può generare emulazione è legittimo. Tutti dovremmo interrogarci sul mondo in cui stiamo vivendo anche quando facciamo un semplice gesto. Anche quando postiamo un commento, mostriamo un’immagine. Sembra quasi finito il tempo della riflessione, del rispetto dell’altro. Perché ognuno di noi può scrivere quello che vuole e farlo conoscere a chi è collegato costantemente con lui. Nell’ultimo anno, i giornalisti, si sono molto interrogati, anche grazie ai seminari di formazione organizzati dall’Ordine, su come gestire anche notizie delicate, documentare fatti di sangue, riportare cronache miste di sangue nate da momenti di depressione, da menti disturbate, dalla distorsione di una società che ci vuole tutti vincenti e perfetti.
Oggi fare cronaca è più difficile di ieri perché i social network spesso arrivano più velocemente dei cronisti sui luoghi dei delitti. Impensabile un tempo. Non c’è subito anche su fatti gravi come quello di Roccalumera, sempre e subito, la mediazione giornalistica e questo può distorcere il percepito, modificare il vissuto. E quindi vengono raccontate più verità, diverse da quelle che magari uno scrupoloso giornalista tenta di scrivere. Ma non dimentichiamoci che anche in questo caso parliamo di due esseri umani che insieme totalizzavano 52 anni e che oggi non ci sono più. Gli inquirenti chiariranno i fatti. Le famiglie piangono i morti. Noi sappiamo quello che leggiamo, quello che vediamo magari in qualche talk show, quello che è postato su Facebook, o ripreso su Youtube. Ma quei cadaveri sono di due giovani vite che avevano la vita davanti.