La Net Comunicazione Politica e il rischio Propaganda
di Agnese Vardanega*
La professoressa Agnese Vardanega ha pubblicato sul suo blog Sociospunti la recensione del libro “La Net Comunicazione politica”. La ringraziamo e pubblichiamo integralmente quanto da lei scritto. (f.p.)
Conosco Francesco Pira da svariati anni, ed una cosa sulla quale voglio sin da subito dichiararmi assolutamente d’accordo con lui è che parlare oggi di “propaganda” può anche non essere solo una provocazione, o un vezzo da intellettuale d’altri tempi.
Tempi oramai passati e superati, rispetto alla nostra esperienza democratica non meno che all’evoluzione della sfera mediatica in senso stretto.
Ma non erano, quelli, i tempi del populismo? E non è di comunicazione, di immagini, di semplificazioni che quest’ultimo si nutre? Ebbene, ci ricorda Pira, esiste e non va ignorato il rischio - recentemente sottolineato anche da Morcellini - che la rete stia “attivamente collaborando alla diffusione dell’ignoranza pubblica … uno degli ingredienti fondamentali, se non la matrice profonda, del populismo”.
Secondo Francesco Pira, docente di Relazioni Pubbliche e Comunicazione delle Organizzazioni Complesse presso l’Università di Udine, «compito della comunicazione politica è quello di utilizzare in una strategia efficace i nuovi e i vecchi strumenti per rendere i messaggi chiari e agevolare la partecipazione» (p. 9).
Il fatto è che però, nonostante le grandi potenzialità offerte dalla rete, tale compito resta sostanzialmente disatteso, specialmente in Italia.
D’altra parte, è inutile cercare le origini di un problema “vecchio” nei media “nuovi”: il problema (quantomeno in Italia) è la politica, da una parte, e il sistema della comunicazione, dall’altra. Ma anche - aggiungerei - la debolezza di una società civile che, a fasi alterne e geometrie variabili, finisce con l’essere o troppo vicina o troppo lontana rispetto ai partiti.
Meritevole da parte dell’autore è anche il tentativo di mantenersi equidistante dall’ottimismo globalista di Castells (pure abbondantemente citato nel testo) o di Lévy, non meno che dal pessimismo apocalittico di Morozov.
Il volume cerca piuttosto di offrire una panoramica del quadro istituzionale e sociale nel quale la Net-Politica si inserisce, per cercare di tracciare i contorni di un fenomeno che sembra destinato ad essere sempre “nuovo”: l’evoluzione della sfera pubblica ai tempi del televisione-centrismo; la frammentazione dei luoghi della produzione culturale - ma anche delle pratiche politiche e partecipative; la post-politica e la disaffezione dei cittadini-elettori nei confronti dei partiti tradizionali; il difficile compito dell’informazione giornalistica, fra user-generated content, iperlocalismi … e chiacchiericcio (pardon, buzz).
L’agorà virtuale diventa facilmente piazzetta. Nel nostro, il Paese dei paesi, non ci vuole poi tanto.
Lo stile partecipativo che la Rete sollecita appare all’Autore «molto difficile da coniugare con lo stile comunicativo italiano»: «Partiti e candidati che non costruiscono la relazione all’interno di un discorso politico chiaro non sono in grado di costruire un vero spazio di condivisione» (p. 33-35).
Ed in effetti, i siti meglio confezionati seguono le regole del marketing politico, e sono ben poco partecipativi: a volte, c’è ben poco a cui partecipare; in altri, si avverte la difficoltà di gestire una condizione di beta permanente. La veloce evoluzione delle tecnologie mal si accorda infatti con i rituali delle decisioni di partito. Last but not least, il sistema dei media mainstream ha abituato i partiti (e non solo) ad avere il controllo su comunicazione e contenuti, ed il web 2.0 appare quindi loro come un mare troppo aperto.
Passando infine dai siti dei partiti o dei candidati più in vista, alla miriade di soggetti (a vario titolo definibili) politici si dovrà anche riconoscere che, sulla rete, «la politica riesce anche ad essere più volgare della televisione» (p. 36). Senza par condicio né wisdom of the crowds, chi sarà in grado di frenare il post-populismo e/o la politica neo-pop? il pop 2.0 riesce ad essere pop al quadrato, autocostituendosi come icona da masticare nel tempo libero.
Del resto, è esperienza di chi scrive che proprio nel fitto della subpolitica e dei candidati locali, possono nascondersi (rare) esperienze innovative, che testimoniano di quella «resistenza comunitaria» a cui fanno riferimento - per aspetti diversi - tanto Bauman quanto Castells.
Se insomma pare a chi scrive che siano nell’insieme sottovalutate nel testo la complessità della relazione globale / locale e la dimensione prettamente locale del discorso politico, è vero che le forme contemporanee del populismo e della propaganda trovano il loro humus nel fatto che, in linea di massima, «la nostra dimensione politica si genera tutta all’interno dell’arena mediatica di cui anche i social network fanno parte» (p. 30). In particolare, è vero che la «politica italiana, anche in virtù della nuova legge elettorale, che ha creato uno scollamento forte tra territorio/cittadini ed eletto, si muove tutta all’interno dei contenitori mediatici tra i quali la televisione gioca il ruolo principale» (p. 22).
D’altra parte, nel corso delle ultime amministrative sono stati rilevati importanti segnali di cambiamento - più nel subpolitico che nella politica istituzionale, che, in rete «rappresenta spesso il potere e deve dunque sapere prima di tutto comunicare con queste comunità che corrispondono in alcuni casi al cosiddetto “movimentismo”» (p. 68), avendo ben chiaro che «per essere inclusi nella rete globale è necessario diventare un nodo, utile alla rete stessa» (p. 59).Altrimenti, conclude Pira, «siamo alle solite: si vende per comunicazione politica il marketing elettorale che rischia di essere “propaganda”» (p. 106).
*Professoressa associata presso l’Università degli studi di Teramo, e docente di Tecniche di Analisi dei Fenomeni Turistici presso il Cdl triennale in Scienze del Turismo e dello Sport della Facoltà di Scienze Politiche.